Critica su Giorgio Scaini
Particolare di una scultura di Giorgio Scaini

Appunto su Giorgio Scaini
di Luca Pietro Nicoletti

«Giorgio conosce tutti i segreti della terracotta» mi dice la moglie di Scaini mentre visito lo studio del marito, che è affollatissimo di busti e figure, per la maggior parte di donne giovani dai lineamenti sottili e portamento di leggiadra eleganza. Se avessero vita, sicuramente sarebbero fanciulle raffinate di modi e senza un minimo dettaglio fuori posto, forse più pratiche a danzare che a camminare.
Aveva infatti ragione Giorgio Seveso, quando riscontrava in questa scultura «una plasticità soda e compiuta, giocata nei termini d'una sorta di elegante espressionismo percorso, sempre, come da una sottilissima e interiore increspatura d'ironia, di amabile liricità, umorosa e divertita, in cui, tuttavia, i materiali, e segnatamente la terracotta, si mimetizzano volentieri da resina o da polimero, quando non rifanno, quasi ironicamente, il verso al marmo e alla pietra».
È fuor di dubbio che Scaini, che ha fatto della terracotta il mezzo espressivo privilegiato del suo lavoro, ha portato la materia ad un virtuosismo compositivo straordinario. Quel mestiere imparato alla scuola di Messina, Manfrini e con Bodini, a Brera, è stato portato a livelli di arditezza nell'articolazione di posture complesse che lascia sbalorditi, così come si resta incantati dal gioco illusionistico di cambi di materia cui sottopone l'argilla, o più qualità di argilla nella stessa opera: a volte, grazie alle patine e agli effetti di superficie, Scaini si diverte a dare l'illusione di aver usato legno o pietre porose, se non addirittura il marmo, in luogo della terracotta. A volte, poi, non mancano inserti di metallo, anticato in certi casi, ad aumentare la ricchezza delle superfici. È scontato, dunque, che nel caso di questo artista si parli sempre, o quasi, di scultura policroma, anche se il colore non è usato in senso prettamente mimetico.
In un certo senso, si potrebbe parlare di scultura barocca, intendendo questo termine come "categoria dello spirito" più che come periodo storico: Scaini è "barocco" come lo era Bodini inserendosi nello stesso solco di indagine sulla figura: viene da lì un certo gusto per la disarticolazione dell'anatomia, che fa del volto e delle mani i nodi nevralgici di ogni scultura. Queste braccia e mani saltano subito all'occhio e colpiscono per una gestualità meccanica, volutamente innaturale: come fossero scheggiate nelle pietre dure. In queste forme c'è qualcosa dell'umano e, insieme, del post-umano, dell'automa meccanico.
La scultura di Scaini ha un gusto per la sovrabbondanza, per l'ornamentazione ricca, fatta non tanto per un aggravio di orpelli che appesantiscono la rappresentazione, quanto per uno scavare profondi solchi e sottosquadri che arricchiscono il chiaroscuro delle sue forme di sacche di ombra oscure, di profili a volte taglienti. Ne deriva un senso pittorico dell'ombra, una superficie la cui lettura e unità è continuamente interrotta: l'occhio non segna subito questo divenire quasi montuoso di superfici ma percepisce bene, nel complesso, una complicata modulazione sopra la struttura portante della scultura.
Rispetto a Bodini, cui certamente ha guardato molto, almeno per l'uso di percorrere la superficie di grafiche incisioni di miretta – ma con segno più libero e meno decorativo - quello di Scaini è un senso della forma con una eleganza liberty che è tutta sua. Evidentissima anche nella sua opera grafica, questa impronta è elegiaca ma mai decadente: un senso decorativo della commistione di linee curve, insomma, che non indugia in una facile emotività, anzi mantiene un carattere leggero ma altero.