Critica su Giorgio Scaini
Particolare di una scultura di Giorgio Scaini

Uno scultore figlio d'arte: Giorgio Scaini
di Raffaele De Grada

II ritratto in scultura sorge da un'antica tradizione: egizi, etruschi, romani. Prima di affidarsi all'eternità gli antichi si facevano fare il ritratto, a Micene i grandi hanno maschere funerarie, a Roma i simulacri degli antenati diventano Lari, se venivano conservati in casa, Penati se potevano essere trasportati con la famiglia, con le sue vicende.

Possiamo azzardare che i "ritratti" in terracotta policroma di Giorgio Scaini (belle fanciulle che trattengono colombe pronte a spiccare il volo, impigliate in nastri e spaghi, ma anche in classiche pose frontali) siano l'ultima propaggine di una tradizione che giunge fino ai "reliquiari" settecenteschi dove la morte veniva esorcizzata tappando i cavi del corpo decomposto con pietre preziose.
Ma le immagini di Scaini non hanno nulla di mortuario, anzi tutti questi nastri e spaghi ci fanno pensare alle stelle filanti dei carnevali mentre l'utilizzo frequente di metalli rigati ci da l'impressione di quelle stoffe preziose che vediamo nelle sfilate di moda. Siamo subito portati a confrontare queste immagini dell'ultimo degli Scaini (ho conosciuto il padre Francesco che era a sua volta figlio d'arte) con la scultura di Floriano Bodini e di Vangi, artisti di grande mestiere e di stile inconfondibile, ma subito si intuisce qual è l'originalità di Scaini; le sue bianche colombe non hanno nulla di aggressivo, le sue donne non riescono ad essere drammatiche anche quando urlano. Giustamente Franco Migliaccio si è riferito allo spazio barocco a proposito di Scaini, c'è in queste figure la dilatazione dello spazio vitale ma anche il sentimento di ciò che lo incatena, braccia inchiodate in decorazioni ceramiche, ceppi che trattengono il volo nel cosmo e che lo scultore sente come "L'albero della vita".
Il vitalismo barocco viene tuttavia subito corretto, l'espressione delle mani, le rosse capigliature, la bellezza vitale dell'antico barocco si raggelano nell'immobilizzazione dei volti che sono tanto più espressivi quanto privi delle braccia che aiutano il linguaggio del quotidiano.
Si pensa ancora, a prima vista, alle delicatezze veriste (è già stato notato) del liberty e dell'art dècò.
Nessuno può negare che i "ritratti" di Scaini, somigliantissimi, siano venuti da quel profumo di peccato che fu dell'epoca. Ma vince sempre l'intendimento realista, le colombe sono colombe, i drappi serici sono veri quanto i bellissimi capelli di queste belle signore; la pura decorazione non prende mai il sopravvento, i volti, le teste sono sempre la parte importante della scultura, accentuate dal colore diverso della terracotta. In più Scaini istilla nell'opera una certa ambiguità di cui è un bell'esempio "Metamorfosi" del 1990.
E perciò Scaini si distanzia da tutta la scultura moderna che è venuta dopo Rodin e che intende dare all'oggetto inanimato la stessa forza vitale che si da all'uomo creandogli attorno un clima di luce. Eppure egli è un figurativo convinto e per fortuna non soffre affatto di quel complesso di inferiorità che oggi affigge gli artisti figurativi. Ma che tipo di figurazione è la sua?
Possiamo seguire il suo processo figurativo. Due giovinetti nel pieno dell'età sono accostati con gesti diversi e assolutamente non contemplativi, lo scultore non ne fa due ritratti oggettivi per quanto somiglianti al modello essi siano. Sembra che l'osservazione dell'apparenza normale non gli interessi, egli vuole esprimere il gesto che caratterizza ognuno dei due e che li distingue dagli altri coetanei (Confronto). Ricrea un altro "reale" che gli è suggerito dall'accostamento di figure ed oggetti, (Equilibrio) - (L'attrice) che insieme ci riportano a una realtà immaginata, che non è quella del quotidiano.
In questa realtà diversa, che ci seduce con i suoi effetti decorativi come in un prezioso vasellame seicentesco (zuppiere, zuccheriere, di nobilissimo artificio) l'allegoria si libera nel suo spazio, suggerita anche da alcuni titoli. E la realtà ritrova, oltre all'allegoria, se stessa come quando dietro la favola mitologica si ricompone la verità del reale, una ragazza che corre nel bosco, una ragazza che stende le mani nel dono, il ricordo di un'amaca d'amore, tutti elementi tratti dal reale, trasfigurati e poi ricondotti a una lettura per tutti.
Così si trattiene l'interesse per il reale oltre il transeunte dell'apparenza, si chiude un cerchio magico (talvolta figurato in un vero e proprio cerchio di metallo) la figura dell'apparenza per fornire quella della conoscenza.
Sembra che il desiderio di conoscenza di Scaini sia soprattutto verso l'universo femminile accostato spesso a quello animale, colombe, gatti. Anche con i titoli l'autore vuole indicare quella dolce complicità che si crea tra la donna e l'animale e che è tanto ben descritta nei Carmi di Catullo e altrove, dal Cinque al Settecento.
Lo sguardo dell'animale ha la stessa forza di quello femminile ed entrambi distanziano gli altri quasi fossero intrusi.
Su questa strada si erano posti Bodini e Vangi, in modo meno dolce di quello di Scaini, ma la strada è quella, la volontà di restituire un volto alle figura che non debbono, com'è in gran parte della scultura moderna, essere considerate soltanto come materia plastica ma chiedono di essere fissate nello sguardo, nell'identità assoluta del vero.
Scaini ha avuto una buona scuola, compresa quella accademica di Messina e di Manfrini, scultori che sapevano identificare un volto.
Quanta gente abbiamo visto nel corso della nostra vita, molti ti conoscono ma tu, quando hai identificato qualcuno non te lo potrai mai dimenticare, si fissa nella memoria, puoi perdere il nome ma non la fisionomia.
Quando vedi un ritratto anche di un buon scultore temi sempre di dimenticarlo. E' perché quel volto, che guarda fisso davanti a te, ti risulta anonimo.
E' quel che Scaini non fa, anche nell'opera più graziosa e decorativa c'è sempre posto per un volto, fosse pur di colomba.

Ottobre 1996